Oggi di 82 anni fa, nel pomeriggio alle 17,20 di una giornata assolata del 28 giugno 1940, nel cielo terso di Tobruk, un Savoia Marchetti SM 79 precipitò in fiamme come una stella cadente. A bordo c’era Italo Balbo, l’eroe, il fascista, l’uomo che sognava di volare oltre l’orizzonte. Con lui, altre otto vite si dissolsero nel vento caldo del deserto.
Balbo lo squadrista, l’uomo che danzava tra le nuvole, si trovò intrappolato nel vortice di una violenza che lo aveva sempre accompagnato. Disprezzava le leggi razziali e la Germania, ma in fin dei conti era pur sempre un uomo del regime, un uomo del potere. E in quel tempo di potere e di guerra, la voce di un singolo uomo veniva facilmente soffocata.
Mussolini, l’uomo che sedeva sul trono di quel potere, temeva Balbo. Diceva che Balbo era l’unico che avrebbe potuto ucciderlo. Così la leggenda vuole che fosse stato lui a ordinare di abbattere l’aereo. A bordo c’era anche Nello Quilici, padre del famoso documentarista e scrittore Folco Quilici, un altro uomo che scelse di danzare con la morte.
Ma che cosa avrebbe fatto Balbo se fosse rimasto in vita? Avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi? O sarebbe caduto nell’oblio come un vecchio eroe dimenticato? Queste sono domande senza risposta, fantasmi che vagano nei corridoi della storia.
Balbo, l’aviatore, il condottiero, il fassista. Un uomo di contrasti, come il chiaroscuro di un quadro di Caravaggio. Un uomo che osò sognare, che osò volare e valere, ma che alla fine cadde sotto il peso delle sue stesse ambizioni. È un monito per tutti noi, un promemoria del prezzo che si paga quando si danza con il potere.
In ogni uomo c’è una lotta tra luce e oscurità, tra purezza e corruzione. Ghandi, JFK, Mandela, Martin Luther King, John Lennon – erano davvero uomini puri, o erano solo uomini, macchiati dal peccato come tutti noi? Balbo avrebbe potuto essere come loro, avrebbe potuto danzare nella luce. Ma scelse l’oscurità del potere.
Il potere è come una bestia affamata, sempre pronta a divorare chi si avvicina troppo. E Balbo, l’eroe, il falco, fu divorato. Scomparve dalla scena, come un vecchio attore che lascia il palcoscenico per l’ultima volta. Lasciò dietro di sé un’eco, un ricordo di quello che avrebbe potuto essere. Un ricordo di un uomo che osò sognare, ma che alla fine si perse nel labirinto del potere.
Nel teatro attuale della politica italiana, dove gli attori recitano con mediocrità le loro parti, una figura come Balbo, con la sua acutezza, il suo spregiudicato carisma e la sua naturale capacità di tessere legami con i popoli anglosassoni, potrebbe risplendere. Forse, come un falco che plana sopra un campo pieno di topi indifesi, avrebbe potuto conquistare il potere con un singolo, deciso boccone.
Ma questa è solo una riflessione, un pensiero che sussurra nel vento del passato. Perché Balbo è andato, e con lui l’era dei giganti. Ciò che rimane è il monito della sua caduta, un’ombra lunga che si proietta sul presente, ricordandoci che l’ascesa al potere può essere vertiginosa ma la caduta può essere rapida, immediata. Anche se sei Italo Balbo.
Eighty-two years ago today, on a sunlit day of June 28, 1940, in the clear skies of Tobruk, a Savoia Marchetti SM 79 plunged in flames like a shooting star. On board was Italo Balbo, the hero, the fascist, the man who dreamed of flying beyond the horizon. With him, another eight lives dissolved into the warm desert wind.
Balbo the squadrista, the man who danced among the clouds, found himself trapped in the vortex of violence that had always accompanied him. He despised racial laws and Germany, but ultimately he was still a man of the regime, a man of power. And in that time of power and war, the voice of a single man could easily be stifled.
Mussolini, the man who sat on the throne of that power, feared Balbo. He said that Balbo was the only one who could kill him. So the legend wants it was him who ordered to shoot down the plane. On board there was also Nello Quilici, father of the famous documentary filmmaker and writer Folco Quilici, another man who chose to dance with death.
But what would Balbo have done if he had stayed alive? Could he have changed the course of history? Or would he have fallen into oblivion like an old forgotten hero? These are unanswered questions, ghosts that wander in the corridors of history.
Balbo, the aviator, the leader, the fascist. A man of contrasts, like the chiaroscuro of a Caravaggio painting. A man who dared to dream, who dared to fly, but who in the end fell under the weight of his own ambitions. It’s a warning for all of us, a reminder of the price you pay when you dance with power.
In every man there’s a struggle between light and darkness, between purity and corruption. Gandhi, JFK, Mandela, Martin Luther King, John Lennon – were they really pure men, or were they just men, tainted by sin like all of us? Balbo could have been like them, he could have danced in the light. But he chose the darkness of power.
Power is like a hungry beast, always ready to devour those who get too close. And Balbo, the hero, the hawk, was devoured. He disappeared from the scene, like an old actor leaving the stage for the last time. He left behind an echo, a memory of what he could have been. A memory of a man who dared to dream, but who in the end got lost in the labyrinth of power.
In today’s theater of italian politics, where the actors perform their parts with mediocrity, a figure like Balbo, with his acumen, his unscrupulous charisma, and his natural ability to weave bonds with the Anglo-Saxon peoples, could shine. Perhaps, like a hawk soaring over a field full of defenseless mice, he could have seized power with a single, decisive bite.
But this is just a reflection, a thought whispering in the wind of the past. Because Balbo is gone, and with him the era of giants. What remains is the warning of his fall, a long shadow that projects onto the present, reminding us that the rise to power can be dizzying but the fall can be swift, immediate. Even if you are Italo Balbo.
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